Comune di AURIGO

Cenni Storici

La nostra storia, raccontata in breve e con leggerezza.

APRICUS OPPURE LOCUS AURIGIS?

L’etimologia del toponimo è molto incerta.

Forse è ricollegabile, come Apricale, al termine latino apricus, ossia “solatio, esposto al sole”, con il prefisso aur- derivato probabilmente da avr-, di cui rappresenta un esito anomalo.

In conseguenza di questi dubbi, alcuni studiosi hanno ipotizzato una possibile derivazione dal nome di persona germanico Aurigis, formato sul modello dei numerosi toponimi derivati da nomi di persona in seguito a sopravvenuta ellissi dell’appellativo, con il nome Aurigo derivato quindi da castrum Aurigis.

Teniamoci il dubbio, per ora.

25 GENNAIO 1217
IL LEGGENDARIO MULINO DI CAGADENARIOS DI AURIGO

La nostra storia comincia sicuramente ben prima di questa data, ma il nome di Aurigo compare per la prima volta nella Storia con la S maiuscola il 25 gennaio 1217: il leggendario (ed evidentemente remunerativo, a giudicare dal nome) mulino di Cagadenarios viene ceduto da Rainarda de Roca al Conte Enrico di Ventimiglia, insieme ad altri beni immobili, terreni, diritti feudali e crediti vari.

Comincia l’epoca feudale.

XIII SECOLO
UNA SCIAGURATA INVASIONE DI FORMICHE

Originariamente raggruppato attorno alla Chiesa di Sant’Andrea, nelle località Cà Suàne (Case Soprane) e Cascina – che denotano il carattere essenzialmente sparso del centro abitato – sopravviene una terribile invasione di formiche che costringe gli abitanti ad un rapido trasloco più a valle, nella sede che oggi conosciamo.

Bella storia, folkloristica e tramandata di generazione in generazione. Ma è chiaro che la nuova e favorevole posizione sia stata determinata dal bisogno di proteggersi e di trasferirsi in un sito maggiormente difeso intorno al castello dei signori feudali del paese: i Ventimiglia, appunto.

Intanto, la Chiesa di Sant’Andrea è citata per la prima volta in un documento del 30 dicembre 1242: iuxta ecclesiam Sancti Andreae de Aurigo, il notaio pontificio Mainardo Alberto, in presenza di tutti i capifamiglia universaliter in publico parlamento congregati et collecti, del sindaco Alberto de Podio Alto e dei Consoli Whonore e Anselmo Piolo, Abbo Boero, Oberto Verda e Oberto de Valle, ratifica l’atto di dedizione al Conte Filippo di Ventimiglia: la comunità si impegna a versare annualmente al signore 15 lire genovesi alla Festa di San Martino, senza dovergli corrispondere nessun’altra forma di tassazione.

SCORRIBANDE E IMPEGNO CIVICO

Nel 1270, il paese è conquistato da Carlo d’Angiò ma, tre anni dopo, con l’aiuto determinante delle truppe genovesi, i conti di Ventimiglia rientrano in possesso del loro feudo, che mantengono (più o meno stabilmente) per oltre due secoli.

Il paese, nel frattempo, si dota inoltre di propri Statuti, che regolano minuziosamente ogni aspetto della vita politica, sociale ed economica della piccola comunità, prevedendo tutta una serie di sanzioni per eventuali trasgressioni alle regole stabilite per il buon andamento della cosa pubblica sotto l’amministrazione comitale che ne approva, poi, anche un testo riformato nel 1349.

1480: ARRIVA MARGHERITA DEL CARRETTO, L’AMAZZONE
(COSÌ
LA CHIAMAVA NOSTRADAMUS)

Siamo nel 1480: le acque cominciano ad agitarsi.

Rivendicando presunti diritti sulla valle del Maro, Margherita Del Carretto, contessa di Tenda e moglie di Onorato I Lascaris di Ventimiglia, da Nostradamus soprannominata l’Amazzone, ordina l’attacco – tra gli altri – del castello di Aurigo.

Giovanni Antonio di Tenda, figlio di Onorato e di Margherita Del Carretto, attacca il borgo e distrugge il castello dei conti, che tuttavia riassumeranno il dominio del paese nel 1511 grazie all’aiuto fornito per l’occasione da Renato di Savoia, detto il Gran Bastardo. Ma, nel frattempo, viste le terribili tempeste belliche, i Ventimiglia trovano temporaneamente riparo nella loro dimora di Porto Maurizio, nei pressi della Chiesa di San Pietro al Parasio.

VECCHIO CASTELLO, NUOVO PALAZZO.
VECCHI PADRONI, STESSI PADRONI.

Nel 1555 il feudo, insieme a quelli di Maro e Prelà, entra a far parte del Marchesato di Dolceacqua che passa, in seguito, sotto la giurisdizione del duca di Savoia Emanuele Filiberto.

Il mattino del 1 dicembre 1575, infatti, gli uomini della valle sono convocati nel luogo del Maro et avanti la giesia quale è sopra la piazza del castello davanti al Prefetto Lazzaro Baratta per la cerimonia di giuramento di fedeltà al Duca di Savoia Emanuele Filiberto. Per Aurigo, alla storica adunata, partecipano i Consoli Antonio Leone, Giacomo Gazzelli, Domenico Rolando e Bernardo Trucco, accompagnati da tutti i capifamiglia dei paesi di Aurigo e di Poggialto.

Il dominio del paese passa, così, al ramo dei Ventimiglia-Lascaris, allora conti di Tenda, che qui costruiscono un grandioso palazzo nella parte più alta dell’abitato a poca distanza dall’antico castello medievale dei Ventimiglia.

Nel corso della prima metà del XVI secolo, la popolazione aurighese, insieme a quella del vicino paese di Poggialto, raggiunge la consistenza di 185 “fuochi”, corrispondenti a circa 750 abitanti, con ben 170 “fuochi” concentrati solo ad Aurigo, che rappresenta così il centro più popoloso dell’intera Valle del Maro, superando lo stesso Maro Castello, unito in quel tempo al “borgo” (l’odierna Borgomaro), e che non superano –  insieme – i 130 fuochi.

GLI ANIMI SI PLACANO, MA NON PER MOLTO

Nel corso dell’età moderna, viene istituito un Monte di Pietà; ne segue un ospedale ed un istituto atto a sovvenzionare le opere pie. L’attività notarile galoppa: le famiglie Dellerba e Berrobianco sfornano rampolli, tutti destinati allo scopo.

I Massari (amministratori) del Santuario di San Paolo si susseguono nell’abbellimento e nella gestione del maestoso Santuario di San Paolo, che li impegna come se si trattasse di una grande azienda (e la è, in effetti); il Rev. Don Giovanni Antonio Rolando intraprende la ristrutturazione della chiesa parrocchiale nelle forme barocche che vediamo ancora oggi.

Sul fronte civico: il locale Parlamento assume numerose deliberazioni tra il XVII e il XVIII secolo su questioni inerenti la vita sociale del borgo, innescando rapporti complessi e talvolta infuocati con le comunità vicine come la podesteria del Maro; le famiglie Emerigo e Rolando curano l’organizzazione militare del paese, ricoprendo la carica di comandanti delle milizie locali per quasi tutto il Settecento.

Le varie attività economiche, basate soprattutto sull’olivicoltura e la pastorizia, hanno il loro centro di promozione e sviluppo nell’antichissima fiera di San Paolo, che si tiene ogni anno il 29 e il 30 giugno, alimentando il volume degli scambi commerciali tra i vari soggetti economici soprattutto nell’ambito del traffico di bestiame, senza contare che il movimento di gente e di pellegrini a scopi religiosi è sempre ingente e radicato.

E I CONTI DI VENTIMIGLIA?
ARRIVANO GLI EREDI, I DE GUBERNATIS E I FERRERO

Nel XVIII secolo, il paese entra stabilmente nell’orbita politica dei sovrani sabaudi, che hanno ereditato il dominio del borgo dalla gestione dell’antica famiglia comitale dei Ventimiglia-Lascaris.

Questi ultimi, ormai prossimi all’estinzione, si imparentano saggiamente con i De Gubernatis, facoltosa famiglia che fa la spola tra la sede di Palazzo Lascaris a Nizza, la corte di Torino e quella pontificia di Roma, dove esercitano l’attività in qualità di ambasciatori del reame sabaudo.

Ma i De Gubernatis non sono prolifici e, giunti, all’estinzione anch’essi, si uniscono ai Marchesi Ferrero di Alassio (epici discendenti di San Vincenzo Ferreri), tramandando il cognome e le gesta alla progenie.

LA REVOLUTION FRANÇAISE E IL GENERALE JABLONOWSKI

Nonostante la solida situazione economica (assieme a Lucinasco, Aurigo produce ed esporta olio a destra e a manca), il paese non è risparmiato dai numerosi conflitti che si succedono nel corso del Sei-Settecento e che investono pure il territorio di Aurigo.

Vengono compiute pesanti incursioni, tra le quali spiccano quelle attuate dalle truppe franco-spagnole durante le operazioni belliche svoltesi nel Ponente durante la guerra di Successione Austriaca.

Ma l’episodio più tragico e drammatico della storia recente avviene il 14 aprile 1800 quando, nel corso della guerra tra l’esercito napoleonico e le truppe austro-russe, il generale Jablonowski fa appiccare il fuoco alle case dei borghi di Aurigo e Lucinasco, consentendo poi ai suoi soldati di infierire sugli abitanti inermi e indifesi.

UNO SPIRAGLIO DI PACE

Dopo la breve parentesi della Repubblica Ligure e la dominazione napoleonica, il paese entra a far parte, con tutto il territorio ligure, del Regno di Sardegna ed è incluso amministrativamente nella Divisione di Nizza passando, poi, sotto la giurisdizione della provincia di Porto Maurizio dopo la cessione del Nizzardo alla Francia nel 1860.

Nel frattempo la popolazione aurighese aumenta sempre di più raggiungendo, intorno al 1850, la consistenza di 700 unità, salite poi a 734, secondo i dati del primo censimento del Regno d’Italia, le quali sarebbero ulteriormente cresciute fino alla prima guerra mondiale (con un picco massimo registrato nel 1911).

DAL TERREMOTO DEL 1887 ALLA GRANDE GUERRA

Come se non fosse bastata l’infausta epidemia di vaiolo del 1848, il 23 febbraio 1887 il paese è duramente colpito dal fortissimo terremoto che investe tutta la Liguria occidentale (il cosiddetto terremoto di Bussana), tanto che si contano ben dieci decessi e tre feriti su una popolazione di 760 abitanti, caduti sotto il crollo della volta della chiesa parrocchiale durante la celebrazione delle Ceneri.

Una trentina d’anni dopo, la comunità di Aurigo paga un altro tributo in termini di caduti e feriti per concorrere allo sforzo militare italiano nella Grande Guerra.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Nel 1928 il paese diviene una frazione del Comune di Borgomaro, al quale rimane legato amministrativamente fino al 1954.

Nel 1929, arriva la corrente elettrica nelle strade pubbliche, grazie al Conte Federico Bianco di San Secondo (ramo cadetto dei Marchesi Ferrero De Gubernatis Ventimiglia).

Durante il secondo conflitto mondiale, il borgo – dove ha la sua sede operativa un distaccamento partigiano della IV Brigata della II Divisione Garibaldi “Felice Cascione” – conosce la dura esperienza dell’occupazione tedesca e delle fasi più drammatiche della lotta di liberazione. Resta vivo il ricordo di Don Ottavio Morchio, più volte espostosi in prima linea per la libertà del suo gregge.

DAL 1945 A OGGI

Dopo la fine della guerra, la popolazione riprende le sue tradizionali attività legate soprattutto alla coltivazione degli ulivi, alla produzione di buoni vini da tavola commercializzati in area locale e all’allevamento del bestiame che pascola prevalentemente all’aperto allo stato semibrado, effettuando la transumanza stagionale nelle zone alle spalle del Saccarello nei territori di Mendatica e Briga Alta e ridiscendendo a settembre a valle.

Agg. 01/02/2023